Il lato umano della scienza

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La divergenza di teorie nella storia della scienza fino ai giorni nostri è un dato di fatto. Anche se la nostra percezione può essere erroneamente convinta che adesso si verifichi un progresso lineare non è certo così.

 Quanti personaggi della scienza sono stati giudicati eccentrici e strampalati perché la “comunità scientifica” non ha colto la novità e il seme di verità delle loro scoperte?

 E quanto cose sono state ritenute a lungo corrette, ma sono finite per risultare l’esatto opposto?

 Eccovi dunque una carrellata di 5 esempi, di teorie e scoperte rivelatesi drammaticamente sbagliate e di personaggi in anticipo sui tempi.

A dimostrazione che scienza e un sano relativismo vanno a braccetto e che non bisogna mai scordarsi che la scienza è prodotto umano, capace di grandi errori e di grandi pensieri!

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1. Partiamo dalla base: la questione del geocentrismo che, nella visione tolemaica, prevede la Terra al centro del nostro universo, ed i pianeti che ruotano attorno ad essa. Teoria che ben si confaceva al quadro religioso, ebbe una lunga fortuna. Niccolò Copernico e poco dopo Galileo Galilei smentiscono la teoria geocentrica a favore dell’eliocentrismo anche in seguito ad osservazioni empiriche.

2. Uno dei grandi – e tanti! – pensatori in anticipo sui tempi è Gregor Mendel (1822 – 1884): osservando i tratti che le piante madri trasferiscono alle piante figlie, capì, attraverso calcoli probabilistici, che alcune caratteristiche vengono trasmesse per via ereditaria.

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Il suo contributo alla genetica venne riconosciuto soltanto dopo la sua morte.

 3. “Contro la peste? Bambini, fumate tabacco”: con un po’ di immaginazione, questo potrebbe essere stato un titolo di una testata giornalistica nel 1665, quando a Londra si scatena un’epidemia di peste. Inoltre si consigliava una bella fumata di pipa contro praticamente ogni male, inclusi i tumori.

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4. Malattie mortali trasmesse dai germi? Tutte panzane! Louis Pasteaur (1822 – 1895), biologo, microbiologo e chimico francese, venne messo alla berlina dai suoi colleghi contemporanei per aver sostenuto la teoria per cui corpi minuscoli, invisibili all’occhio umano, potessero causare malattie anche mortali. Il calore, sempre secondo Pasteaur, avrebbe un effetto distruttivo nei confronti dei microbi – da qui il termine “pastorizzazione”.

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5. Il salasso, inteso come pratica curativa, non è poi così remoto: dall’antichità fino alla fine dell’Ottocento era una pratica assai diffusa ed utilizzata per curare praticamente qualsiasi cosa. Febbre, infezioni, intossicazioni?

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Un bel prelievo di sangue arterioso ed il corpo ne avrebbe tratto giovamento, purificandosi e ritornando in forze.

B.G.

Filosofi, filosofi ovunque… anche in MATEMATICA!

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Quali domande sorgono nella mente dei filosofi in ambito matematico?

Enumerarle tutte sarebbe impossibile, il legame fra filosofia e matematica, infatti, è vecchio addirittura di millenni.

Ma eccone alcune insieme a qualche risposta fornita dai filosofi nel corso della storia!

  • Domande ontologiche: qual è lo statuto ontologico dei numeri? E quello delle operazioni matematiche?

Una risposta possibile: il realismo matematico sostiene che le entità matematiche esistono indipendentemente dalla mente umana. Quindi noi non inventiamo la matematica, ma piuttosto la scopriamo
Questa posizione viene spesso chiamata platonismo, in quanto essa si avvicina molto al pensiero di Platone riguardo al “mondo delle idee”: una realtà superiore immutabile che funge da forma ed archetipo per il mondo in cui noi viviamo. Probabilmente la concezione di Platone è un derivato del pensiero pitagorico. I pitagorici, infatti, pensavano che il mondo fosse fatto di numeri, letteralmente.
Questa idea potrebbe avere origini ancor più antiche, ma non ci sono abbastanza fonti per dirlo con certezza.

  • Domande metafisiche: perché la matematica funziona? Per quale ragione la matematica spiega così bene il mondo fisico come noi lo vediamo?

Una risposta possibile: iI formalismo sostiene che gli enunciati matematici possono essere pensati come affermazioni intorno alle conseguenze di certe regole di manipolazione di stringhe. L’idea base del formalismo è che i numeri non sono entità né astratte né di altro genere.
Non ci dobbiamo impegnare ontologicamente nei loro confronti. Essi sono segni di gesso su una lavagna o simboli che tracciamo con la penna. Ciò che importa è il sistema formale della logica che si usa in matematica e la teoria che si sta studiando. In base alle regole logiche si possono derivare teoremi dagli assiomi e, di conseguenza, scoprire nuove proposizioni aritmetiche. Non c’è alcunché che, però, ci porti a considerare “vere” nei termini di una corrispondenza metafisica con qualcosa tali enunciati. In questo senso, dalle forme più estreme di formalismo, la matematica viene considerata un “gioco”.

  • Domande epistemologiche: come facciamo ad accedere epistemicamente alle verità della matematica? O meglio, come possiamo sapere che ciò che ci dice la matematica è vero?

Una risposta possibile: “Chiamiamo “vera” un’asserzione se essa coincide con i fatti o corrisponde ai fatti o se le cose sono tali quali l’asserzione le presenta; è il concetto cosiddetto assoluto o oggettivo della verità, che ognuno di noi continuamente usa. Uno dei più importanti risultati della logica moderna consiste nell’aver riabilitato con pie­no successo questo concetto assoluto di verità.” –  Karl Popper

A.B.

Per verificare e approfondire
Bottazzini,Il flauto di Hilbert. Storia della matematica, UTET, Torino 2003
Popper,Sulla logica delle scienze sociali, Einaudi, Torino 1972

Vedi anche
FILOSOFI, FILOSOFI OVUNQUE …anche in CHIMICA

 

La tenacia del paradosso!

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Possibile che un uomo vissuto nel V secolo a.C. ed i suoi ragionamenti siano, giusto quei 2500 anni dopo, ancora fonte di spunti e interrogativi?

A quanto pare sì, guardando a Zenone di Elea ed ai suoi 4 paradossi, tramandati a noi da Aristotele nella sua Fisica. Metafisici e fisici ammirano i paradossi di Zenone, che rappresentano una sfida ancora aperta alla relazione spazio-tempo, e movimento ed alla percezione di essi e sono un anticipazione di problematiche organizzate in termini più complessi e sistematici solo ai giorni nostri.

Eccovi i 4 paradossi di Zenone, considerati i primi paradossi della storia!

1. Il paradosso della dicotomia

Se si considera un segmento di retta AB, esso non è possibile percorrerlo per intero. Partendo da A si dovrà prima toccare il punto C a metà di di AB, poi il punto D medio di CB, poi il punto E medio di DB e così via, in un processo all’infinito!

Per illustrare questa problematica nascono i concetti di limite e di numero iperreale.

2. Il paradosso di Achille e la tartaruga

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A tratti molto simile a quello della dicotomia, tant’è che può essere considerato come la versione “in movimento” del primo paradosso.

Achille si trova in un punto X e deve raggiungere la tartaruga che si trova nel punto Y, davanti a lui. Prima di raggiungere di corsa la tartaruga, egli dovrà passare da X e giungere a Y. La tartaruga nel frattempo si sarà spostata dal suo punto di partenza Y, raggiungendo, mettiamo, Y1. Achille quindi per raggiungere la tartaruga, deve raggiungere Y1, mentre quest’ultima sarà giunta in Y2… così fino all’infinito.

É questo il paradosso forse più suggestivo, che ha ispirato uomini di scienza ma anche letterati, tra cui Paul Valery e Borges.

3. Il paradosso della freccia

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Un arciere lancia una freccia: questa seppur volando veloce,prendendo in considerazione un dato istante si trova in una data posizione, risultando quindi essere ferma in quella posizione.

Il movimento, seppur percepito nella sua dinamicità, è composto da tanti momenti di immobilità. Esiste il movimento, o è solo un’illusione?

Il concetto di derivata nasce da tale problematica!

In chiave metaforica, il paradosso della freccia è stato ripreso dalla meccanica quantistica. Si sviluppa così il concetto di “Effetto Zenone Quantistico” per cui un sistema che tenderebbe al decadimento, è impedito nel decadere o non decade se continuamente osservato/sottoposto a misurazioni!

4. Il paradosso dello stadio

Osservando una gara di bighe dell’Antica Grecia, Zenone non riesce a spiegarsi il fatto che la biga più veloce, che doveva correre lungo un rettilineo, per poi girarsi attorno ad un pilone, e tornare indietro, potesse intercettare nella sua corsa la biga più lenta. Quest’ultima sembrava avere una velocità addirittura superiore a quella della biga vincente.

Tra i quattro, questo paradosso è l’unico assolutamente risolvibile. Il misterioso effetto è infatti dovuto al fatto che le varie velocità sono relative al sistema di riferimento, non assolute: la velocità apparente equivale alla somma delle due velocità (assolute) rispetto alla terraferma.

                                                               B.G.

Viviamo nel peggiore dei mondi possibili: lo dimostra U.

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Viviamo nel peggiore dei mondi possibili, alla faccia di Leibniz.

Dopo aver letto l’articolo sul termine “dimostrazione” ormai sapete che non potete fidarvi del suo uso, perché spesso è improprio.
Ed è improprio anche qui: “questo è il peggiore dei mondi possibili” è una proposizione che consegue dall’accettazione o meno di un determinato principio all’interno della logica modale deontica.

Un passo indietro.
La logica modale (che si basa sull’idea leibniziana dei mondi possibili) permette di formalizzare e studiare tutte le proposizioni che contengono la coppia di concetti necessario/possibile;
la logica modale deontica interpreta la coppia necessario/possibile in termini deontici trasformandola nella coppia obbligatorio/permissibile.

I principi fondamentali della logica deontica sono perfettamente comprensibili con il solo buon senso: il principio D afferma che se qualcosa è obbligatorio, allora è anche permissibile: se devo farti lo scontrino sarà anche vero che posso fartelo;
il principio OD* dice che non esistono obbligazioni incompatibili: se per legge devo pagare le tasse di certo non ci sarà una legge che mi dice di non farlo.

E poi c’è U.

Su U non sono tutti d’accordo.
Qualcuno vuole accettare questo principio, qualcun altro no. Partiamo da un amico di U, il principio T: T dice che se qualcosa è obbligatorio allora necessariamente si realizza.
T è il principio del migliore dei mondi possibili.
“Se qualcosa si deve fare si fa!”: siccome bisogna pagare le tasse tutti le pagano, gli scontrini sgorgano come fiumi in piena, nessun omicidio, nessun furto, nessuno lancia immondizia dal finestrino, tutti gli studenti vanno a scuola tutti i giorni.
Ah, che bello il mondo come lo voleva vedere Leibniz!

Ma diciamocelo, T non sta in piedi, non serve neanche dirlo, figuriamoci dimostrarlo!

L’amico U, però, sembra più credibile: contiene il principio T, ma ha un senso diverso. Tecnicamente si enuncia cosi

è obbligatorio che ( se A è obbligatorio si dia il caso che A ) .

In poche parole, è come una legge superiore alla legge.
Una grossa legge sopra le altre che dice: bisogna rispettare la legge.

Se si accetta questo principio ne consegue che esistono dei mondi in cui le leggi vengono rispettate.
Dei mondi in cui ci sono le nostre stesse leggi, ma queste hanno effetto e si realizzano in un progressivo movimento in avanti, che non torna mai indietro: ovvero le leggi vengono via via sempre più rispettate, ma non ci sono mondi in cui vengono rispettate di meno (questo fatto ha a che fare con la riflessività del principio U).

Il nostro è il peggiore dei mondi possibili, almeno secondo U.

E chi glielo dice a Leibniz?

A.B.

 

Per verificare e approfondire
F. Chellas, Modal Logic. An introduction, Cambridge University Press, Cambridge 1980
L’uso improprio della dimostrazione: mai fidarsi quando “lo dice la scienza”

L’uso improprio della dimostrazione: mai fidarsi quando “lo dice la scienza”

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Qual è il giorno migliore in cui nascere? Ve lo dice la scienza

Bere birra può aiutare a perdere peso. Ecco cosa dice la scienza

Avete la memoria corta? Siete più intelligenti. Lo rivela la scienza

Il mare fa bene al cervello e rende felici. Lo dice la scienza

Avete mai visto articoli di questo tipo? Ma che ve lo chiedo a fare, certo che li avete visti! Sono disseminati ovunque tra le testate dei periodici online.

I titoli di questo genere sono fatti per attrarre la nostra attenzione: tutti noi vogliamo bere birra senza relativa panza da birra, tutti noi vogliamo sentirci intelligenti e, soprattutto, tutti noi vogliamo essere felici e andare al mare.

Ma se la scienza parlasse davvero così la staremmo ad ascoltare? Vedendo questi articoli la scienza sembra essere la comare pettegola e un po’ stravagante del paese, quella che ne sa sempre una più del diavolo.

Gli articoli che seguono questi titoli sono in genere molto più cauti rispetto a quanto appaiano a prima vista. Ma c’è un fatto che li accomuna tutti: l’uso improprio del termine “dimostrazione”.

“Dimostrare” non vuol dire molto più che “mostrare”: la conclusione del ragionamento e/o degli esperimenti effettuati deve risultare evidente.
La dimostrazione può essere di due tipi:

  • la dimostrazione logico-formale, detta anche apodissi o argomentazione apodittica, parte da premesse considerate indiscutibili ed opera sulla base di procedimenti sillogistici di tipo deduttivo;
  • la dimostrazione scientifica parte da dati di fatto esperibili e validati da procedimenti sperimentali ripetibili. Dimostra una tesi sulla base di procedimenti sillogistici di tipo induttivo (exemplificationes).

Ma le dimostrazioni offerte da questo genere di articoli assomigliano molto di più a queste e suonano così:

  1. Dimostrazione per testardaggine: “Non mi importa quello che dite: è vero!”
  2. Dimostrazione per riferimento perso: “Sono certo di averlo letto da qualche parte”
  3. Dimostrazione per intimidazione: “Non essere stupido: naturalmente è vero!”

O, naturalmente, quella che preferisco:

Dimostrazione per lontananza: “L’Università Victoria della Guadalupa ha fatto un esperimento, quindi è vero!”

Morale della favola: diffidate sempre dall’uso del termine “dimostrazione”.

Se ciò che leggete vi sembra una sciocchezza, sicuramente non l’ha detto la scienza.

A.B.

Per verificare e approfondire
Qualsiasi periodico online non specificatamente dedito ad argomenti scientifici

Per puro divertimento
36 tipi di dimostrazione, e voi quale usate più spesso?

 

36 tipi di dimostrazione, e voi quale usate più spesso?

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1. Dimostrazione per ovvietà
La dimostrazione è così chiara che non c’è bisogno di menzionarla.

2. Dimostrazione per consenso generale
“Tutti d’accordo?…”

3. Dimostrazione per maggioranza
Da usare solo se la dimostrazione per consenso generale non è possibile.

4. Dimostrazione per convenienza
“Sarebbe molto simpatico se fosse vero, perciò…”

5. Dimostrazione per necessità
“Deve per forza essere vero, altrimenti tutta la struttura della matematica crollerebbe miseramente.”

6. Dimostrazione per plausibilità
“Suona bene, quindi deve essere vero.”

7. Dimostrazione per intimidazione
“Non essere stupido: naturalmente è vero!”

8. Dimostrazione per terrore
Se l’intimidazione non è sufficiente…

9. Dimostrazione per posposizione
“La dimostrazione è lunga e tediosa, quindi verrà data nell’appendice.”

10. Dimostrazione per caso
“Ehi, guardate cosa ci è venuto fuori!”

11. Dimostrazione per insignificanza
“Ma in fin dei conti, a chi gliene importa?”

12. Dimostrazione per notazione complicata
“∀ ( β ⊂ Π ) ∃ ( ξ ∈ Ω )”

13. Dimostrazione per bestemmia
(esempio omesso)

14. Dimostrazione per definizione
“Definiamolo come vero.”

15. Dimostrazione per tautologia
“E’ vero perché è vero.”

16. Dimostrazione per plagio
“Come possiamo vedere a pagina 269…”

17. Dimostrazione per riferimento perso
“Sono certo di averlo letto da qualche parte.”

18. Dimostrazione per analisi matematica
“La dimostrazione richiede nozioni di analisi matematica, quindi la saltiamo.”

19. Dimostrazione per mancanza di tempo
“Visto che non c’è abbastanza tempo per provarlo, lascio a voi la dimostrazione.”

20. Dimostrazione per mancanza di interesse
“C’è davvero qualcuno interessato a vederlo?”

21. Dimostrazione per illeggibilità
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22. Dimostrazione per logica
“Se è nella pagina dei problemi, deve per forza essere vero!”

23. Dimostrazione per immaginazione
“Beh, se facessimo finta che sia vero…”

24. Dimostrazione per oculata scelta della variabile
“Prendiamo un numero A tale per cui la dimostrazione sia valida…”

25. Dimostrazione per tassellazione
“Questa dimostrazione è esattamente come la precedente.”

26. Dimostrazione per parola divina
“E il Signore disse, «Sia esso vero», e fu vero.”

27. Dimostrazione per testardaggine
“Non mi importa quello che dite: è vero!”

28. Dimostrazione per semplificazione
“Questa dimostrazione si può ridurre all’affermazione 1+1=2.”

29. Dimostrazione per generalizzazione affrettata
“Beh, funziona per 17, quindi funziona per tutti i numeri reali.”

30. Dimostrazione per inganno
“Ora giratevi tutti un momento…”

31. Dimostrazione per supplica
“Fa’ che sia vero!”

32. Dimostrazione per pessima analogia
“Insomma, è quasi come…”

33. Dimostrazione per intuizione
“Me lo sento, che è vero…”

34. Dimostrazione per costruzione
Se non è vero nella matematica odierna, si inventi un nuovo sistema in cui lo sia.

35. Dimostrazione per autorità
“Don Knuth ha detto che è vero, quindi deve esserlo!”

36. Dimostrazione per evitamento
E’ il limite all’infinito della dimostrazione per posposizione.

 

Attribuito a Harry Field, tradotto da Maurizio Codogno

Ma quanto ci piacciono le curve?!

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Per chi ama l’ordine, ci sono quelle “ordinate” appartenenti al regno della geometria euclidea, per gli esteti, i frattali, per gli ossessivi-compulsivi, le spirali, e così via! Insomma, ad ognuno la sua curva!

La storia delle forme geometriche, e quindi anche quella delle curve, riflette per molti aspetti le varie concezioni cosmologiche all’interno della storia e l’impatto che queste ultime suscitano negli animi.

Un esempio? Prendiamo Euclide. Egli vive in un mondo in cui è fortemente sentita la presenza di un universo divino ed incorruttibile: le forme geometriche da lui avanzate, riflettono l’ordine immutabile che questa dimensione manifesta; sarà poi compito di Aristotele conferire alla geometria la capacità di spiegare il mondo terreno e mutevole, pur rimandando ad una dimensione superiore!

Ma le curve, rimangono dominio del mondo della “carta e penna” e delle due dimensioni?

Le curve, quelle più belle e suggestive sono passate dall’immaginario mentale, alla realtà, forse perché troppo belle per essere lasciate “inespresse”. La geometria delle curve ha influenzato vari settori: dall’oggettistica ergonomica, all’ingegneria meccanica.

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Questa è una curva detta clotoide.

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Questo – manco a dirlo – è un non meglio specificato ottovolante. Un ottovolante deve il suo funzionamento proprio ad una curva clotoide.

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Non sembra anche a voi che questa spirale, la spirale di Fermat, assomigli tantissimo ad una trappola antizanzare?

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La natura è un “punto d’osservazione” privilegiato per poter ammirare il mondo delle curve.

Un esempio su tutti è quello della curva detta ofiuride – letteralmente dal greco significa coda di serpente – e delle spire della coda, appunto, del serpente.

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Le curve in natura hanno ispirato l’uomo, l’uomo ha creato delle curve ispirandosi a quelle trovate in natura e a sua volta ha creato manufatti con quelle curve. Il mondo delle curve rappresenta un anello di congiunzione tra quello che è natura e quello che è artificio, un anello di congiunzione tra quella che è l’osservazione e quella che è la realizzazione.

 

B. G.

 

E se la matematica diventa divertente?

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Per alcuni può suonare strano accostare alla matematica l’aggettivo “ricreativa” – non è certo il primo aggettivo che mi verrebbe in mente. Ma per molti la matematica ricreativa è un hobby, un passatempo, fonte di divertimento e di piacevole lavorìo mentale.
Ma che cosa comprende la matematica ricreativa? Non vi è un livello preciso di facilità/difficoltà riguardo gli elementi che ne fanno parte: si parla di matematica avanzata, di figure geometriche con particolari proprietà (ad esempio i frattali), ma anche di indovinelli e rompicapo dove la logica è la chiave che fornisce la soluzione.
Un esempio? Eccovi servito un enigma rompicapo – perfetto per questa serata di fine estate:
Durante la lezione di matematica, un gruppo di studenti comunica al professore che al telegiornale hanno dato la notizia di un matematico che ha scoperto una somma di cinque cifre dispari che dà il numero pari 14. Il professore non ne è a conoscenza: “Bizzarro, la somma di un numero dispari di numeri dispari a sua volta dispari”.
Ma il giorno dopo il professore arriva dai suoi studenti con la risposta.
Che somma avrà scritto alla lavagna?
Lungi dall’essere ambito esclusivo della “Settimana Enigmistica” (che non me ne vogliano, le vignette sui loro numeri erano e sono tuttora delle chicche), personaggi illustri, tra l’ideazione di una teoria del tutto, e la risoluzione di un equazione, se ne sono cimentati: per citarne solo un paio, il matematico-fisico Douglas Hofstadter e il matematico Martin Gardner – quest’ultimo ha curato per anni la sezione “Mathematical Games” della rivista “Scientific American”. Il pittore Mauritius Escher e il romanziere Lewis Carrol si sono dilettati nell’elaborazione di giochi matematici.
Il nostro arguto Leibniz, sempre avanti sui tempi, già nel 1715, in una delle sue innumerevoli lettere, aveva profetizzato l’avvento di questa “matematica ludica”:
Gli uomini non sono mai più ingegnosi che nell’invenzione dei giuochi; l’ingegno si trova a suo agio (…). (…) Sarebbe desiderabile che si avesse un corso intero di giuochi trattati matematicamente.
B. G.

FILOSOFI, FILOSOFI OVUNQUE …anche in CHIMICA

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Cosa può dirci la filosofia sulla chimica?
  1. L’interesse filosofico riguardo della chimica nasce solo nel XX sec. con Weisberg e McIntyre. Prevalentemente i filosofi si concentrano su questioni di METODO: quali sono i presupposti della scienza chimica? Come può essere definita questa scienza e come si possono definire gli oggetti che studia?
  2. La filosofia cerca di risolvere i problemi che derivano dalla descrizione tradizionale della struttura molecolare e del legame chimico: questa, infatti, non è in grado di spiegare le proprietà di molte sostanze, per esempio l’aromaticità.
  3. La filosofia si chiede quanto estesa sia la capacità della fisica (specialmente della meccanica quantistica) di dar ragione dei fenomeni chimici. Ovvero: la chimica può essere ridotta alla fisica, come molti ammettono, o vi sono lacune incolmabili? L’approccio riduzionista è soddisfacente? Anche Karl Popper si occupò di questa questione.
  4. Alcuni, come Scerri, sono particolarmente interessati ai principi filosofici che fondano la tavola periodica degli elementi e al modo in cui in essa vengono a intersecarsi fisica e chimica, una questione a suo parere meritevole di indagini non solo scientifiche, ma anche filosofiche.
  5. La chimica è lo studio delle sostanze o delle reazioni? Anche questo si chiedono i filosofi. Infatti gli atomi, anche in un solido, sono in moto perpetuo e, a determinate condizioni, molte sostanze chimiche reagiscono spontaneamente per formare nuovi prodotti. Numerose variabili ambientali influenzano le proprietà di una sostanza, comprese la temperatura, la pressione, la vicinanza ad altre molecole e la presenza di un campo magnetico. «I filosofi della sostanza definiscono una reazione chimica dal cambiamento di alcune sostanze, mentre i filosofi del processo definiscono una sostanza dalle sue reazioni chimiche caratteristiche» – Schummer
A.B.
Per verificare e approfondire:
 Jaao van Brakel, The Philosophy of Chemistry Foundations of Chemistry, periodico edito da Eric Scerri Elias James Corey, La logica della sintesi chimica

La scienza può studiare la coscienza? Il sillogismo dice no, o forse dice sì?

 

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Premessa 1: La scienza è per definizione oggettiva (in quanto opposta al soggettivo)
Premessa 2: La coscienza è per definizione soggettiva (in quanto opposta all’oggettivo)
Conclusione: Quindi, non può esserci una scienza della coscienza.

AHAH! SBAGLIATO! Boromir vi aveva avvertito.

Il sillogismo contiene una fallacia: una fallacia di ambiguità.

Nella Premessa 1 il termine oggettivo è inteso nel senso comune: la scienza è oggettiva nel senso che può essere riconosciuta vera o falsa indipendentemente dai sentimenti, dagli atteggiamenti o dai pregiudizi della gente. Il termine “oggettivo” è qui usato nel suo senso EPISTEMICO.

Nella Premessa 2, invece, il termine soggettivo è inteso in senso ONTOLOGICO. Ecco un esempio: le montagne e i ghiacciai hanno un modo oggettivo di esistenza, invece i sentimenti, il dolore e il solletico hanno un modo soggettivo di esistenza.

Quindi ripetiamo il sillogismo:

Premessa 1: La scienza è per definizione epistemicamente oggettiva

Premessa 2: La coscienza è per definizione ontologicamente soggettiva

Conclusione: Quindi, può esserci una scienza della coscienza. Eccome se può.

A.B.

 

Per verificare e approfondire
Searle, Mente, linguaggio, società. La filosofia del mondo reale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000
Chi siamo noi? Parola alla scienza